Qui, nel nostro piccolo paese dall’altro lato dell’oceano, vedo tanto sgomento e delusione per la recente elezione di Donald Trump e la sconfitta di Hillary Clinton. Premesso, con tutto il dovuto rispetto per i cittadini comuni di quel paese, che la politica americana mi preoccupa a prescindere dal nome del presidente eletto, per quanto ne so, nessuno tra i due contendenti mi ha ispirato particolare fiducia.
Senza avventurarmi in analisi politologiche che non mi competono, da osservatore comune senza un punto di vista privilegiato, posso limitarmi a formarmi un’opinione attraverso quanto riportato dai giornali in questi mesi.
Mi viene difficile immaginare che un milionario che ha passato la vita ad accumulare denari per sè, possa avere a cuore gli interessi degli altri. Allo stesso modo, sento una naturale repulsione per una donna che, stando a quanto riportato dai giornali, dichiara una forte propensione all’interventismo americano in politica estera — traducete pure in guerre — e si fa portavoce di interessi sinistri. Vedi la lugubre alleanza con l’organizzazione abortista Planned Parenthood.
Archiviati i proclami da campagna elettorale, che per buona parte lasciano sempre il tempo che trovano, per ora mi baso sulla prima dichiarazione pubblica del neo-eletto presidente:
Mentre terremo sempre al primo posto gli interessi americani, andremo d’accordo con tutti. Su questo posso rassicurare tutti i Paesi. Con tutte le persone e con tutte le altre Nazioni. Cercheremo una base comune di dialogo, non l’ostilità, non lo scontro.
Anche ai tempi dell’infelice Bush Junior si immaginava un disimpegno americano in politica estera e poi sappiamo come sia tragicamente andata a finire. Con tutte le riserve possibili, ad oggi, con Trump è dichiarata un’intenzione in controtendenza con la tipica impostazione guerrafondaia americana. Da modesto italiano, che vive dell’altra parte dell’oceano, me la faccio bastare.